lunedì 30 gennaio 2023

Gefjon - La seconda luna

Sotto la luna dell'albero di sorbo,
albero di guardia con le tue bacche arancioni,
invoco Gefjon, Madre dei Tori.
Concedimi il coraggio in ogni cosa,
specialmente quando mi trovo da solo,
senza nessuno che mi aiuti,
di fronte a un compito monumentale.
Dammi fiducia nella mia autonomia
affinché non dipenda da altri
che non sono degni della mia fiducia e del mio bisogno.


A differenza di alcuni Dei Asi, Gefjon (in italiano è similmente pronunciabile come Ghefion), chiamata anche Gefjun, ha una sua identità ben definita e compare nella poesia, nell'arte e nella leggenda skaldica come figura indipendente, sebbene sia stata anche associata e confusa con le Dee Frigg e Freya. È una Dea associata alla fertilità del raccolto. Ci sono anche alcune prove che Gefjon fosse invocata in occasione dei giuramenti, con la frase “Sverek vid Gefjon” cioè “Giuro su Gefjon” Il suo nome significa "donatrice" e deriva dal verbo gefa, che significa "dare", con l'ulteriore connotazione "dare in matrimonio". Il nome Gefjon è stato collegato anche a geofon, oceano, mare. Gefjon è associata all'isola danese di Sjælland, ritenuta da alcuni il centro di culto della Dea Nerthus, menzionata da Tacito. Tuttavia, ci sono poche prove che suggeriscono che Gefjon fosse considerata una dea del mare; piuttosto, è più fortemente collegata all'agricoltura e alla terra. La parola per "dono", giefu, è anche il nome di una runa anglosassone, gyfu, gebo, che significa dono, generosità, ospitalità. Nella prima cultura germanica, i concetti di “dono” e di “dare” avevano un significato più profondo e magico di quello che la società contemporanea attribuisce loro: più che un semplice scambio di beni fisici, il dono simboleggiava la fusione delle menti e delle vite di chi lo offriva e di chi lo riceveva, uno stato magico di comunione e ispirazione che si accentuava quando comprendeva scambi tra uomini e divinità. Il dono cementava i legami della società umana, creando vincoli reciproci di interdipendenza, sedando faide e liti senza spargimento di sangue e consentendo a persone e gruppi di parentela indipendenti di lavorare insieme per il bene comune. I doni erano richiesti per suggellare gli affari, solennizzare i matrimoni e ratificare i trattati di pace ed erano necessari per rendere vincolante quasi ogni accordo o cerimonia. Rompere un tale patto una volta stipulato causerebbe una frattura nella stabilità della società stessa e, a livello spirituale, provocherebbe spiacevoli ripercussioni nel ørlög dell'infranto.

Il principio dell'ospitalità.
L'ospitalità, che era considerata un obbligo morale dai popoli del Nord, comprendeva l'aiuto che i viaggiatori senza amici potevano ricevere per sostenersi durante il viaggio. Tra ospite e ospitante esisteva un legame sacro di aiuto reciproco e di pace; fare violenza all'ospite o al padrone di casa era un crimine terribile, che violava le leggi umane e divine. La runa gebo simboleggia anche il rituale e il sacrificio, lo scambio divino di doni tra gli uomini e gli dei che crea un rapporto di parentela e di interdipendenza reciproca. Il rapporto ospite-ospitante e il concetto di dono si manifestano nel principale mito esistente relativo a Gefjon. Questa storia è raccontata due volte da Snorri, all'inizio del Gylfaginning (cap. 1) dell'Edda in prosa e nella Ynglinga saga (cap. 5) dell'Heimskringla. Anche il poeta skaldico Bragi Boddason il Vecchio scrisse diverse strofe sull'evento, dimostrando che la storia doveva essere abbastanza conosciuta. Nella versione eddica, Gylfi, il re di Svezia, è molto divertito da una donna viaggiatrice che soggiorna nella sua sala e, in cambio della sua allegria, le dona un appezzamento di terreno grande quanto lei e quattro buoi possono arare in un giorno e una notte. La donna, che in realtà è la dea Gefjon, porta da Jotunheim i suoi quattro figli, avuti da un gigante. Li trasforma in buoi e con il loro aiuto ara un enorme tratto di terra. La dea procede poi a trascinare il suo premio attraverso l'oceano, dove diventa un'isola lungo la costa della Danimarca. Si dice che quest'isola sia Sjælland, la più grande delle isole danesi e sede della città di Copenaghen. Nel sud-est della Svezia esiste un lago, il lago Malaren (Malar), le cui rientranze si dice corrispondano esattamente ai promontori dell'isola danese. La versione del racconto nell'Heimskringla è sostanzialmente la stessa, con due piccole variazioni. Qui Odino manda Gefjon da Gylfi in cerca di terra, e la dea si reca a Jotunheim per concepire i suoi quattro figli dopo aver accettato il dono di Gylfi. La saga di Ynglinga racconta che, dopo aver conquistato la sua isola, Gefjon sposò il leggendario eroe danese Skjold, re di Leire e figlio di Odino, e con lui fondò la razza reale danese, chiamata Scylding in suo onore. Si sa che Gefjon aveva un santuario o un luogo di sacrificio a Leire, e ci sono diversi altri toponimi in Danimarca che potrebbero derivare dal suo nome.


Gefjon, Dea della fertilità.
A causa del mito di Gylfi, Gefjon ha un forte legame con l'agricoltura e in particolare con l'aratura. Sono state trovate incisioni dell'epoca vichinga che mostrano una donna, che si presume essere Gefjon, con il suo aratro e quattro buoi. Il suo legame con i buoi o i tori fa pensare a una divinità della fertilità, anche se nel suo caso si trattava specificamente della fertilità del suolo. Potrebbe essere stata associata a rituali di benedizione dell'aratro, come l'antico incantesimo anglosassone per rendere fertile la terra, un incantesimo poco cristianizzato eseguito quando si ara il primo solco della stagione, che include la seguente invocazione:

Erce, Erce, Erce, la Madre Terra,
possa l'Eterno Signore onnipotente
concederci campi per aumentare e prosperare,
campi fertili e sani,
brillante raccolta di alberi di miglio,
ampie raccolte di orzo ...
Salute a te, Madre degli uomini!
Sii feconda ora nell'abbraccio di Dio,
Sii piena di cibo per l'uso degli uomini.

Tale preghiera veniva recitata quando i campi erano stati arati prima in primavera - Æcerbot - Charming del Plough. Un rito di fecondità registrato nell’11° secolo, destinato a porre rimedio ai campi che avevano prodotto pochi frutti. Il rituale prevede una parte cristianizzata della cerimonia, dove si raccoglievano quattro zolle erbose del campo, nei quattro buchi si versa un intruglio preparato con lievito, miele, olio, e latte mescolato con le erbe più floride, affinché questo potesse appunto salvare le altre piante.
La cristianizzazione di tale rito è da imputarsi alla parte che prevede che una volta raccolte le zolle si conservavano fino a sera e si incideva su queste una croce prima di riporle dove si erano scavate. Ne esistono in ogni caso diverse versioni e gli studiosi concordano che sicuramente è un rito di origine pre-cristiana. In esso, il Dio cristiano è assimilato a un classico pagana ruolo indo-europea: il dio del cielo che fertilizza la dea terra negli Ierogamia (matrimonio divino).
L'officiante si rivolgeva ad Est, dove si innalza il sole, e girando per tre volte in senso orario invocava il custode stano dei cieli perché riempisse la terra col le culture desiderate. L'aratro veniva benedetto e strofinato con varie erbe e con tutti i tipi di semi che sarebbero stati piantati durante la semina di quell'anno. Poi l'aratro veniva portato nei campi e usato per tracciare il primo solco rituale.

Il bue e il suo simbolismo.
Il bue è l’animale domestico per eccellenza, simbolo della capacità dell’uomo di padroneggiare sulle forze della natura, incarna il dominio sulla irrazionalità, il calmo lavoro, la capacità di produrre attraverso il sacrificio, l’affermarsi della civiltà. Il bue, come fonte di cibo diretta e indiretta, incarna la ricchezza, una ricchezza che talvolta richiama l’età dell’oro, quando ancora i giganti non minacciavano la fecondità della terra. Ricordiamo il nome dell’antico bue Himinhrjòtr, “quello che torreggia il cielo” o forse “quello che devasta e arrossa il cielo”, il più grande esemplare della mandria del gigante Hymir, ucciso da Thor il quale ne fa esca per tentare di catturare il serpente cosmico che giace nell’oceano. Il colore nero del pelame dei buoi dei giganti ricorda la malvagità dei padroni, in una saga si dice che alcuni buoi, che avevano trasportato il cadavere di un essere malvagio, erano stati cavalcati da streghe. Riporto anche una connessione che pare esistere tra il bue e l’aquila, presente nel racconto di Snorri riferito al rapimento di Idunn: il gigante Pjazi, in forma d’aquila, pretende di prender parte al banchetto degli dei che stanno cucinando un bue. Tale connessione è confermata nel carme in cui è detto esplicitamente “spesso indica i buoi il sognare l’aquila”. Il mito indica il tentativo dei giganti, simboleggiati dall’aquila, di impadronirsi di ciò che è emblema di ricchezza e fecondità.

Accostamento a Freya e Frigg.
De Vries ipotizza che Gefjon e Thor possano essere stati venerati insieme in Danimarca come divinità della fertilità, vista la presenza di alcuni toponimi di Thor nelle vicinanze che si pensa siano collegati a Gefjon. Tuttavia, questi stessi toponimi potrebbero anche essere legati a Freyja, uno dei cui nomi, Gefn, deriva dalla stessa radice di Gefjon. Entrambe le Dee sono in possesso di un gioiello, citato nel Lokasenna (st. 20):

Disse Loki:
Taci, Gefjon
ora racconterò dicolui che
al piacere del sesso ti sedusse:
quel bianco cavalier che ti offrì un gioiello
e a cui ti apristi le gambe.

Disse Odino:
Sei pazzo, Loki, e malato
se susciti l’ira di Gefjon,
poiché io credo che tutti i destini
ella conosca bene quanto me.

Questo contraddice l'idea comune che Gefjon sia vergine, che deriva dalla descrizione che Snorri fa di lei: egli afferma inoltre che tutte le donne che muoiono fanciulle la assistono nell'aldilà. Tale affermazione è facilmente smentita, se si pensa ai quattro figli della Dea! Si può dire al massimo che le giovani donne tra la pubertà e il matrimonio simboleggino il potenziale, e l'associazione di Gefjon con loro potrebbe essere parte della sua funzione di fertilità. In una saga una ragazza che si oppone al culto fallico venerato dalla sua famiglia invoca Gefjon.
Importante è anche la risposta di Odino a Loki: afferma che Gefjon conosce il destino delle persone tanto quanto lui, ciò riecheggia un altro verso in cui si dice quasi la stessa cosa di Frigg, la quale conosce il destino ma nulla rivela. L'immagine di Gefjon e del suo aratro ricorda la Dea Berchta, che veniva spesso raffigurata mentre viaggiava per le campagne con il suo aratro e che si pensava assicurasse la fertilità dei raccolti. Anche in questo caso, tale figura viene spesso accostata a Frigg.

Caratteristiche fisiche e caratteriali.
Gefjon può essere vista come una donna forte e vigorosa, nel fiore dei suoi trent'anni. Solare, dai capelli folti, biondi o rossicci, lasciati sciolti sulle spalle o legati dietro alla nuca in modo semplice. Le braccia sono nude e abbronzate, forti e robuste, con le maniche arrotolate oltre i gomiti. È una dea legata alla Terra e ne ama i frutti, è allegra e gioviale, orgogliosa dei suoi figli che sono i suoi gioielli! Il suo simbolo è l'aratro ed è la patrona delle donne e degli uomini che lavorano sodo e si impegnano ogni giorno, è in grado di gestire gli elementi del caos e di sottometterli al suo volere, non ha paura del lavoro sporco. Insegna alle donne a saper trattare con gli uomini, a conoscere sé stesse, a prendersi cura di sé e a diventare donne, non ragazze. Gefjon si trova a suo agio anche con gli uomini, ovviamente, con cui è in grado di competere alla pari. Gefjon, con la sua indipendenza e sicurezza, sembra una figura eccellente per le donne che lavorano e vivono per conto proprio. Soprattutto oggi, quando molte donne vivono da sole, lottano con la maternità o lavorano in vari settori, Gefjon è un nobile esempio. Non solo ha fatto bene il suo lavoro, ma ha anche negoziato un salario di qualità. Sebbene sia storicamente legata all'agricoltura, può essere invocata per ottenere aiuto in qualsiasi tipo di lavoro onesto da persone di entrambi i sessi. Sarebbe forse una buona divinità da invocare quando si cerca un lavoro o quando si cerca un salario decente o un aumento. Per le donne, è particolarmente pronta a prestare la sua forza e la sua astuzia. Gefjon può essere invocata anche nei rituali che coinvolgono le giovani donne, come i riti di passaggio alla pubertà. Potrebbe anche essere coinvolta nei lavori per proteggere le donne e le ragazze da un coinvolgimento prematuro o indesiderato con gli uomini.

Rituali e altare.
Un altare dedicato alla Dea Gefjon può essere ricoperto di un telo giallo, arancione o marrone, qualsiasi colore indicativo della coltivazione. Come ornamenti ovviamente possono essere utilizzati frutta e ortaggi, spighe di grano e cereali, una zolla di terra, attrezzi (per lo più miniature) di strumenti legati all'agricoltura al lavoro. Animali simbolo di questa Dea sono il bue, la bufala, il toro, la vacca. Ideale sarebbe poter effettuare un rituale con questa Dea nei pressi di un campo coltivato. I pasti associati a Gefjon sono abbondanti, calorici, contadini, non particolarmente elaborati, da mangiare anche senza posate! Ovviamente il manzo è da evitare. Attività che si possono svolgere in suo onore: andare a visitare o ancora meglio lavorare in una fattoria, fare lavori manuali, una passeggiata all’aperto, acquistare prodotti da agricoltori locali, abbandonare la macchina e utilizzare un mezzo di trasporto più ecologico.
Gefjon è molto laboriosa, preparatevi a dichiarare quali passi intendete compiere per assicurarvi il successo nel lavoro per cui chiedete aiuto, e a lavorare sodo per portare a termine i vostri obiettivi, con l'aiuto della fortuna aggiunta dalla dea. La Dea può essere invocata per questioni legate al successo, alla realizzazione dei tuoi sogni, al superamento delle battute d'arresto, per avviare un'attività in proprio, per aver maggior pazienza e testardaggine, per il sostegno delle comunità femminili. Offre inoltre aiuto nell'affrontare la discriminazione razziale, l'integrazione in un nuovo gruppo sociale o in un posto di lavoro. È anche bene invocarla quando si ha un rapporto difficile con il cibo. Di seguito alcune invocazioni:

⌘ Invocazione di Gefjon
Hail Gefjon, Dea delle fanciulle;
conosci il destino è stato stabilito per tutti,
come come Odino il saggio.
Gefjon ha attinto con gioia da Gylfi
della terra scura da donare alla Danimarca.
I robusti buoi grondavano di sudore,
otto occhi scuri spalancati come come lune,
quattro impavide bestie del solco.
Trascinarono la bella isola,
presa come premio dalla Svezia.
Hail Dea ridente, gioia degli uomini della sala dell'idromele!
Hail Gefjon dalla gamba bianca,
il cui favore conquista l'oro di qualità
e campi belli e fruttuosi!
Hail quattro figli del gigante, portatori dell'aratro!
Hail Dea delle donne sole,
Signora dell'astuzia, del coraggio e del sudore,
il gioiello che porti è il tuo stesso forte cuore.
Concedici coraggio, forza e gioia,
benedici i nostri aratri mentre spezziamo le verdi ossa di Jord
e richiama i frutti splendenti.
Benedici il nostro mare e la nostra terra, bella Padrona di Sjælland
e creatrice del lago Malar.
Hail Gefjon! Vieni!


⌘ Preghiera alle Antenate e a Gefjon, per la donna che deve affrontare l’ingiusto maschilismo.
Da sempre ingiusto, il destino dalla parte delle donne,
arate a loro piacimento, messe in ginocchio.
Madri, vi prego, datemi la forza in questo giorno,
per lavare via la mia vergogna, per mantenermi sana di mente.
I forti si macchiano di potere,
il mio potere sta negli occhi che cedono.
Come nella canna si piega, per non rompersi mai,
loro vedono la sconfitta, ma non è reale.
Sono viva, per il bene di qualcuno,
farò tutto ciò che serve.
Questa stronza vincerà, lasciate che i galli combattano,
Fino a quando non scompariranno dalla mia vista.


 Invocazione per il trionfo
Gefjon dell'aratro marrone,
che io possa essere ferma, lavorando per ciò che voglio.
Gefjon dei verdi accordi,
che io possa essere astuta, scambiando equamente per ciò che mi serve.
Gefjon delle biance campane,
che io possa danzare via le mie preoccupazioni, restando fedele a ciò che sono.
Che io possa sempre lottare per i miei obiettivi e i miei sogni!
Chi dice che non si può fare, si faccia un giro!
O gli farò sentire l'odore dei miei piedi, e loro sverranno!


 Invocazione per l’autosufficienza
Hail, fanciulla dell'autonomia!
Tu che ci ricordi
che non c'è bisogno degli altri per esistere,
che il proprio destino è separato da tutti gli altri,
che alla fine di tutto, ognuno di noi è solo davanti alla resa dei conti.
Tu che consolate i non sposati,
ricordando loro che la convivenza
non è l'unico modo di vivere la vita,
ricordacelo, quando ci sentiamo più soli,
che essere soli non è sempre una maledizione,
e che la fiducia in sé stessi può essere una benedizione.


⌘ Questa Luna Piena è conosciuta come la Luna Immacolata o Luna dell'Orso, o delle Oche, ha il potere della purezza, dell' innocenza e della gioia. Parla al fanciullo che è dentro di noi, ricordo di un tempo quando la vita era semplice, quando il sorriso era prezioso e ogni cosa sembrava possibile. Le giornate si stanno poco a poco allungando, il sole scalda maggiormente la nostra pelle quando fa capolino tra le nubi, il nostro corpo percepisce che la primavera, anche se ancora lontana, si sta avvicinando poco a poco e abbiamo voglia di vivere, di rinascere e divertirci. Le barriere si piegano e cedono, e i nostri obbiettivi personali diventano raggiungibili. La Luna Immacolata ci offre l'opportunità di eliminare ciò che è vecchio e inutile.

I miti nordici – Gianna Chiesa Isnardi
http://www.northernpaganism.org/
https://lofnbard.wordpress.com/stories/

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